Cos è la filofobia?
La filofobia è definita come la paura persistente, ingiustificata ed anormale di innamorarsi o di amare una persona.
La conseguenza è un progressivo ed inesorabile distacco da tutto ciò che è emotivamente perturbabile, una lenta deprivazione affettiva auto-mutilante (per se stessi) e sadica (per chi la subisce), che implica, nel tempo, la perdita del desiderio verso l’altro (sessuale, emotivo.. affettivo..).
I filofobici collegano l’amore alla sofferenza, ma soprattutto alla paura di perdere il controllo su se stessi, che associano invece, alla capacità di resistere ai sentimenti e ai sentimentalismi: se mi mantengo freddo/a, distaccato/a e lucido/a, allora sarà impossibile per me soffrire, perché di base non appena provo un sentimento di tenerezza, fuggo oppure faccio in modo che l’altro non si accorga che lo sto provando, mistificando i miei sentimenti e mostrando spesso l’esatto contrario.
Queste convinzioni (l’amore è pericoloso,… se ti innamori resti fregato…chi ti ama ti domina.., etc) sono il frutto di stereotipi culturali sessisti e /o di legami di attaccamento disfunzionali con le figure genitoriali (ferite abbandoniche, carenze affettive).
In questi anni di intensa attività clinica, ho riscontrato che queste forme di evitamento affettivo sono strategie di sopravvivenza adottate da persone cresciute nella deprivazione e nell’aridità affettiva: si tratta di bambini sensibili, vissuti in disparte nel desiderio (insoddisfatto) di essere amati da parte di entrambe (o più spesso di uno dei genitori), che al contrario si mostravano insensibili, svalutanti, distaccati e completamente anaffettivi.
Il bambino a questo punto ha due scelte: annichilirsi, soccombere e deprimersi oppure idealizzare e sopravvalutare l’atteggiamento del genitore anaffettivo, considerandolo una difesa vincente ed un modo efficace per esercitare il potere sul mondo circostante.
La paura del legame e di essere “incastrato” ha origini lontane, in attaccamenti ansiosi e intrusivi con madri psicotiche, depresse o anaffettive e si manifesta con veri e propri sintomi fobico-ossessivi ogniqualvolta il partner (o il potenziale partner) cerca di mettersi in relazione con lui/lei: evitamento dell’intimità (non del sesso, ma dell’intimità e la condivisione), fuga nel lavoro, ansia nei momenti di condivisione, sensazione di claustrofobia in situazioni ed eventi che simboleggiano i legami (natale, compleanni, … anniversari…), attacchi di panico in prossimità di eventi importanti legati alla crescita della coppia (matrimonio, etc), depressione, fissazione sui difetti dell’altro e sulle sue mancanze, atteggiamenti svalutativi mirati ad allontanare l’altro, conflittualità elevata.
Per queste persone provare un’emozione forte (anche positiva), condividere, relazionarsi è un’esperienza negativa, potenzialmente distruttiva, che mette a rischio la propria sicurezza, che minaccia la libertà individuale e che funziona quindi come un campanello d’allarme per un’imminente ritirata più’ che come la prova di un forte amore e coinvolgimento.
Il collega e scrittore Nicola Ghezzani nel suo “paura di amare”, parla di anoressia affettiva e cioè dell’incapacità di amare l’altro unita all’esasperata (ed esasperante) esaltazione della propria indipendenza e dell’invulnerabilità individuale.
Come si comporta una persona affetta da filofobia in coppia e/o in famiglia?
Per il filofobico perdere qualcuno di potenzialmente valido accanto a se è un rischio minore rispetto a quello di perdere il controllo su se stesso, per questo in terapia, incontro spesso partner esausti della deprivazione emotiva, della svalutazione a cui questo tipo di soggetti li espongono, condannandoli a una vita di arida solitudine anche se in coppia/famiglia; questo perché la paura di amare porta il filofobico ad assumere atteggiamenti che fanno sentire il partner non amato e poco importante e con il passare degli anni, una coppia stabile e matura necessita una crescita, la costruzione di un legame profondo e intimo, che si basa sulla fiducia, la progettualità e la condivisione.
Paradossalmente quindi, ciò che accade è questo: più la coppia cresce, più si consolida il legame con l’altro, (che a buon bisogno lo/la ama nonostante il suo controllo e le sue strategie per danneggiare e sabotare il legame), più il filofobico si sentirà minacciato e fragile, invece che forte e sicuro.
Non a caso, nelle prime fasi della relazione non manifestano questa sintomatologia ansiosa collegata al legame, perché appunto la relazione è ancora superficiale , poco impegnativa e ancora instabile.
Oltre alla paura di soffrire, c’è anche la paura di confrontarsi con l’autorità, i doveri (la personalità genitoriale) e una scarsa propensione a tollerare la frustrazione; si evita quindi di crescere ed assumersi le responsabilità formali che un legame implica.
Impegno, perseveranza, fedeltà, dedizione, cura, appaiono al filofobico come obblighi castranti, vincoli che lo/la intrappolano in un destino a due, in cui perderà certamente la sua individualità e con essa la libertà.
Ecco che amare qualcuno diventa “doverlo accontentare” piegarsi alle sue volontà, sforzarsi di soddisfarlo invece che essere un piacere e un arricchimento personale e di coppia.
Conflitto e dipendenza affettiva nel filofobico
Vi starete chiedendo, ma se un filofobico ha il terrore delle relazioni, perché si fidanza, si sposa o comunque si lega?
Come tutte le persone fobiche, un evitante è consapevole che la sua paura è infondata e prima o poi, incontra una persona che apprezza, stima e ama, con cui razionalmente desidera costruire, ma la paura istintiva di scappare e mettere a repentaglio il legame è più forte, ama quella persona, ma non riesce a dimostrarglielo, anzi non può!!, per questo, non riesce a vivere né con lei/lui, né senza di lui/lei.
Si verifica un andamento della relazione altalenante ed ambivalente, fatto di momenti di intensa vicinanza e momenti di profondo distacco, spesso generati dal partner esausto oppure da litigi causati da comportamenti o atteggiamenti sprezzanti, arroganti o svalutanti del filofobico, mirati proprio a generare un conflitto, per utilizzarlo come “scusa” per distaccarsi un po’.
Alla lunga però, questo up and down genera stress nella coppia, depressione nel partner e difficoltà sessuali causate da una profonda sfiducia verso l’altro, verso al sua incostanza ed inaffidabilità affettiva.
Nei casi più semplici e prevedibili, il filofobico evita deliberatamente i legami, ricerca inconsciamente partner impossibili, relazioni complesse con persone sposate o distanti, che giustifichino indirettamente il suo non volersi mettere in relazione, scaricando le responsabilità sulla sfortuna, sulla vita etc.. (non sono io che non voglio legarmi è che incontro sempre la persona sbagliata…).
L’aspetto più triste della paura dei legami è che alla lunga, come in una profezia che si auto avvera, si resta soli; la paura di essere feriti e di soffrire per amore o di restare delusi comporta una sofferenza d’amore, perché è proprio chi ha paura di amare a deludere se stesso e gli altri, a ritrovarsi solo/sola per la perdita dei legami affettivi.
Il filofobico quindi pensa che alla fine ci sia qualcosa di sbagliato in lui/lei, perché non merita amore, ma non riesce a comprendere come tutte le persone fobiche, che la causa della paura non è da ricercarsi all’esterno (fuori da sé) ma dentro di se e che l’unico modo per superarla è affrontarla, comprendendo che il rischio di restare soli e deprivati con la propria tanto agognata (ma poi neanche così desiderata libertà ) è una punizione e un rischio maggiore che quello di essere traditi o lasciati.
In psicoterapia i filofobici hanno bisogno di acquisire consapevolezza dei propri vissuti, di sperimentare relazioni di “rigenitorializzazione” in cui re-imparare a fidarsi, scoprendo che la reciprocità affettiva è possibile e che non sempre un’emozione cela in se un rischio, una potenziale minaccia.
Cosi’ come nella cura di qualsiasi fobia, è necessario lavorare sulle difese, al fine di estinguere tutti i comportamenti distruttivi e sabotanti, che generano disagio e stress nella persona, nel partner e nella coppia, attraverso un percorso di desensibilizzazione sistematica ai segnali di allarme, che compaiono ogni volta che ci si trova a sperimentare un’emozione, a condividerla e che spingono istintivamente alla fuga o all’evitamento.
SE PENSI DI SOFFRIRE DI FILOFOBIA O DI ESSERE IN UNA RELAZIONE CON UNA PERSONA FILOFOBICA, CONTATTAMI PER UNA CONSULENZA PRIVATA.
Dottoressa Silvia Michelini
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Dott.ssa Silvia Michelini
Psicologa esperta in Affettività, Trauma e Relazioni. Ideatrice e fondatrice del Metodo Lei&Lui®
Psicologa esperta in Affettività, Trauma e Relazioni. Ideatrice e fondatrice del Metodo Lei&Lui®
Buongiorno dott.ssa
Ho senza dubbio a che fare con un uomo filofobico da 3 anni
Posso avere supporto in qualche modo e soprattutto è possibile un futuro per una coppia di questo tipo se la persona non riesce a gestire le sue paure?
Grazie
Salve S.
questa dinamica va affrontata in un percorso individuale mirato a comprendere quali siano le dinamiche affettive implicate nella relazione e quindi perché ci troviamo a dover sottostare a una sensazione di deprivazione affettiva o perché – in generale – siamo attratti da persone evitanti.
In terapia di coppia, se il partner riconosce questo suo limite si può fare molto, ma affiancando anche un lavoro individuale su entrambi.
Se le interessa, guardi la sezione richiedi una consulenza e mi contatti a psicologiacoppia@gmail.com per prenotare.
Una consulenza spot non implica poi intraprendere il percorso, ma orientarsi meglio.
un caro saluto
Buongiorno Stefania,
anche io purtroppo ho a che fare con una persona filofobica da 3 anni.
sono distrutta.
Buongiorno,
anche io purtroppo ho a che fare con una persona filofobica da tre anni.
Sono distrutta.
il termine esatto della malattia che espone il contrario della filofobia, ossia di essere amati?
Ho paura di esserlo e di vivere con una persona che possa avere delle tendenze simili… E’ possibile che due filofobici si attraggano a vicenda e se cosi fosse e’ possibile che la situazione si sblocchi e riuscire a vivere serenamente questo amore?
Gentile dottoressa, sono stato con una donna evitante per più di un anno (lei 40 anni psicologa) continui alti e bassi, lei che per me creava conflitti e poneva fine alla relazione ed io che successivamente la inseguivo avendo atteggiamenti da stalker per non perderla. A marzo dello scorso anno e’ terminata per poi riprenderla a giugno dopo che sempre a marzo fino ad aprile mi ha minacciato di chiamare carabinieri per il mio atteggiamento persecutorio. Vacanze assieme fino ad arrivare a dicembre 2020 che per una mia richiesta di più intimità che mancava pone fine di nuovo alla relazione ed io accetto in un primo momento salvo poi ripetere gli stessi atteggiamenti inseguirla, chiamarla a ripetizione andare fuori casa sua, minacce di chiamare i carabienieri mai fatto salvo per contattare mio fratello più volte per chiedergli di farmi smettere altrimenti mi denuncia, blocchi ovunque chiaramente così come a marzo 2020. Cosa fare ora se volessi che tornasse da me?
Come mai lei specifica che la persona evitante è psicologa? a parte questo forse lei ha necessità di una terapia per la sua ossessività altrimenti per esercitare questa dinamica attirerà sempre persone evitanti che possano attivargliela.
Se un uomo evitante lascia, la lontananza può metterlo nella condizione di sentire la mancanza e capire ciò che ha perso? Quindi favorire un ritorno?
Grazie