Dott.ssa Silvia Michelini     psicologiacoppia@gmail.com
Metodo Lei & Lui

Chiama: +39 339 8873385

La mia esperienza clinica nell’ambito del trauma, dell’empatia, delle personalità post-traumatiche e dei disturbi di personalità del cluster B, mi ha permesso nel tempo di individuare una particolare categoria di persone, che soffrono nelle relazioni a causa della loro spiccata “sensibilità” e altruismo”; vi è una tendenza (innata e/o appresa) ad essere eccessivamente disponibili con gli altri, mettendo le proprie esigenze all’ultimo posto e a stringere nel tempo –  relazioni (d’amore o amicali) caratterizzate da abuso psicologico-affettivo o materiale.

Queste persone presentano un fortissimo senso di altruismo umanitario unito però, all’incapacità di difendersi o meglio di “accorgersi” che i limiti di reciprocità all’interno della relazione vengono ampiamente violati; per questo motivo per lungo tempo, pur di non perdere l’approvazione dell’altro si “desensibilizzano” e si “dissociano” da loro stessi pur di non entrare in contrasto o in conflitto con chi amano (genitori, amici, parenti, partner… figli…).

In pratica si assumono tutti gli oneri di una relazione e dimenticano di esistere pur di mantenere vivo il legame con l’altro (che sia un amico, un genitore, un partner…).

Un altro dato importante è “l’assenza della selezione all’entrata” … ovvero sono persone che non scelgono con chi relazionarsi (si lasciano scegliere e spesso i predatori sentono l’odore del sangue delle ferite abbandoniche da molto lontano…), non mettono alla prova nessuno, danno per scontato che le intenzioni relazionali dell’altro siano buone… perché di base proiettano sull’altro il loro lato buono, altruista e amorevole.

Non si tratta banalmente di DIPENDENTI AFFETTIVI, IMPULSIVI o di PAURE ABBANDONICHE… o meglio queste persone soffrono di dipendenza affettiva, ma quella è solo la punta dell’iceberg…, un sintomo; il loro problema non è la dipendenza dalla conferma del loro valore da parte di un altro, l’interesse materiale oppure l’attaccamento morboso al sesso o l’ossessione per una particolare persona.

Sono stanca di sentir parlare di “sindrome della crocerossina”, primo perché non posso parlarne al maschile (e seduti qui davanti a me ci sono moltissimi uomini in queste condizioni) e perché trovo assai riduttiva la visione dell’empatico quale persona di scarsa autostima che si lega a persone bisognose per non essere abbandonato e gratificarsi indirettamente attraverso la gratitudine del “cane randagio salvato”.

Il nucleo primario della sofferenza di queste persone è sicuramente il perfezionismo morale, una sorta di masochismo sottomissivo interno, che si nutre di SENSI DI COLPA e un altissimo senso degli ideali, del giudizio e del dovere.

Quasi sempre alla base troviamo una relazione traumatica e tossica con uno o più figure di riferimento vissuta durante l’infanzia, che ha rinforzato nell’adulto schemi di relazione disfunzionali come la sottomissione, la ricerca dell’approvazione esterna, gli standard di prestazione severi, idealismo, l’autosacrificio, la paura dell’abbandono, la doverizzazione, la negatività o il pessimismo e la vulnerabilità verso il mondo esterno.

C’è quindi molto di più della “scarsa autostima” di cui si parla sempre (e in modo abbastanza superficiale) in ambito di dipendenza affettiva, perché alla base della sensazione di non potercela fare da soli e della paura di “trasgredire” i dettami sociali del Dio genitore o del Dio simbolico, c’è uno stigma interno secondo il quale, tu hai valore etico e morale nella misura in cui le persone che importanti per te sono felici e soddisfatte e il mondo esterno non ti giudica “manchevole o immorale”.

Ecco quindi che le persone “allenate” da genitori (spesso narcisisti borderline, abusanti o sottomissivi) a dare sempre di più, si pongono mille quesiti e dubbi sul loro comportamento verso l’altro (dubbi sulle azioni), ma non esigono che l’altro faccia altrettanto, perché sono stati educati al senso di colpa attraverso il ricatto affettivo (esplicito o implicito: mamma e papà ti ricattano apertamente oppure sfoggiano musi e silenzi se non li accontenti) e lo stimolo del PREMIO o REWARD. (ti amerò quando farai questo per me…)

Mettiamo che un genitore crei questo schema sinaptico nella memoria emozionale di un figlio: tu sei un essere inferiore, se vuoi la mia protezione e il mio amore o vuoi ottenere qualcosa devi sottometterti a me, se non lo fai, non solo non avrai più amore, ma la punizione “divina” sarà l’espulsione dal “paradiso” ovvero dalle grazie di mamma e papà intesi come rappresentanti di una moralità sociale, di un Super Io cattivo, deprivante e giudicante.

Se fai questo, ti do questo, altrimenti no”. “Se mangi, mi fai contenta, se non mangi non ti abbraccio più, mamma piange, Gesù, piange e via dicendo…” Non posso darti affetto, coccole o amore perché tu non hai fatto questo, non mi hai accontentato in questo” …. Un bravo figlio fa questo per suo padre/madre invece tu non fai nulla… ah! hai preso 9? Beh potevi prendere 10, i tuoi amici sono più bravi di te…”

Cosa succede alla nostra mente in età adulta? Semplice, la coazione a ripetere di questo schema sado-masochistico all’infinto e nessun premio alla fine del viaggio.

Come posso uscirne?

Negli anni ho elaborato insieme ai miei pazienti una strategia, che potremmo ambire a definire “teoria”, per gestire le relazioni e i confini nei casi di personalità post-traumatica che io definisco “emorragia empatica”.

Può sembrare banale chiamarla teoria, ma di base questi step, per un empatico e un dipendente affettivo non sono semplici da osservare.

L’obiettivo è mettere in relazione il valore della prudenza con la spontaneità e l’ingenuità degli empatici, puntando a trovare un equilibrio tra confidenza e rispetto dei confini.

La fortezza medioevale assediata…

Facciamo finta che tu sia una fortezza medioevale e che all’interno del tuo castello, ci sia un tesoro (magari piccolo secondo te, ma c’è…).

Non tutte le persone che si presentano al vostro cospetto, seppur mascherate da buoni samaritani, saranno interessati a voi, perché alcuni potrebbero solo aver bisogno del vostro tesoro.

Come possiamo capirlo e evitare di entrare troppo precocemente in relazioni strette con persone che poi potrebbero rivelarsi abusanti o non interessate a un rapporto basato su reciprocità e rispetto?

Mettendo tre confini e tre regole tra te e l’ospite in entrata

  • La Conoscenza distaccata: in questa fase, quando qualcuno vuole entrare in relazione con te, seppur pressante e marcatamente seduttivo, va osservato a distanza. Ecco quindi che possiamo uscire a cena, godere della zona di comfort amicale,  fare domande e conoscere la persona nella sua fattiva realtà, non per quello che ci dice o ci promette. Una prima regola, anzi è valutare la velocità che l’altro mette nel relazionarsi… troppa o troppo poca? dubitare di chi CORRE TROPPO oppure METTE TROPPI LIMITI E VETI ALLA CONOSCENZA. Gli estremi, la passione, il pathos sono belli da vivere (sia in amicizia che in amore), ma dovrete poi prepararvi a soffrire o a scoprire che non era oro quello che luccicava. La cautela e la prudenza sono d’obbligo. Non significa frenarsi, apporre un limite eccessivo all’entusiasmo, ma lasciare al tempo la possibilità di mettervi di fronte ad una conoscenza reciproca. In questa fase è bene evitare di CONFIDARSI… parlare troppo di sé da dove veniamo, quanti traumi abbiamo, con chi stavamo etc.…; se riuscite, invertite la questione, facendo voi le domande che ritenete opportune, senza chiaramente entrare troppo nell’intimo o pretendendo troppo senza dare nulla in cambio. All’inizio di una frequentazione TUTTI indossiamo la nostra miglior veste, nella fase che io chiamo della CODA DEL PAVONE; usciti dalla fase del corteggiamento (che si tratti di amicizia, amore, conoscenza lavorativa), iniziano ad emergere le parti in ombra e di fatto è con quelle che dobbiamo entrare in reale contatto e capire quanto siano sane per noi e/o compatibili con le nostre zone d’ombra.
  • Frequentazione attiva. Se la persona ha superato la prima fase di conoscenza, potete permettergli di accedere al secondo confine; qui potete iniziare a condividere con la persona il vostro tempo libero, gli hobby e valutarne, all’interno di questi contesti, le capacità affettive/empatiche. Osservate in questa fase come la persona si comporta con amici, genitori, figli, datori di lavoro e non solo con voi… soprattutto coi deboli come anziani, bambini e animali. Osservate come si muove nel vostro ambiente prossimale: conoscenti, amici, ristorante, lavoro etc…
  • Accesso all’intimità: per intimità non intendo sesso… quello fatelo un po’ quando vi pare e soprattutto non basate la considerazione del valore della persona quando siete annebbiati/annebbiate da questa tempesta ormonale. Sappiate che la tempesta ormonale non è amore, ma UNA FASE del processo di innamoramento e potrebbe anche non passare presto e per questo impedirvi di accedere a forme più sane/stabili di relazione con l’altro. Il buon sesso quindi è la base di una relazione sana, ma potrebbe costituire un inquinante nella valutazione dell’altro se ne costituisce l’elemento base. Per intimità intendo quindi: la confidenza in senso fisico, sessuale, mentale, emotivo, spirituale. L’intimità è UNA DIMENSIONE DI ECCELLENZA NELLA RELAZIONE e si basa sulla sensazione reciproca di potersi FIDARE e cioè di essere apprezzati, accettati, così come siamo dall’altro senza preoccuparci che ci farò del male, senza dover più difendere “il tesoro” perchè cosi’ come noi lasciamo che l’altro usufruisca del nostro, siamo certi che ci sia scambio e soprattutto GRATITUDINE RECIPROCA (ognuno al suo livello chiaramente non con il metro).

 

Cesare Pavese suggerisce: tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza.

L’intimità è l’assenza di dover attuare qualsiasi gioco di potere (o difensivo) in una relazione. L’assoluta inutilità di indossare maschere o corazze difensive o strategie o altre diavolerie per FAR FUNZIONARE LA COSA oppure per non devastare la tua autostima.

Questo step a tre fasi non ci protegge dalla sofferenza in amore o dal nostro modo di essere, ma certamente scoraggia molte persone e permette a te di fare molte più valutazioni razionali. Non dobbiamo diventare paranoici, ma neanche proseguire a credere alle favole.

Toglie poesia? No … perché per scrivere una poesia d’amore serve il tempo e il modo giusto oppure una grandissima sofferenza. A te la scelta, nella vita, non nei film o nelle canzoni d’amore.

Li va sempre a finire tutto bene, dopo “l’amore a prima vista”, ma nella realtà raramente ciò accade.

ARTICOLO SCRITTO ASCOLTANDO: I KNOW – Placebo.

visita anche

www.silviamichelini.com

www.psicologiadicoppia.net

www.vittimedinarcisismo.com