Dott.ssa Silvia Michelini     psicologiacoppia@gmail.com
Metodo Lei & Lui

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Isolamento o Solitudine? Isolamento, solitudine e Fragilità del Sé nel Trauma Relazionale Complesso “C’è una solitudine che cura, e un isolamento che depriva.” Nel linguaggio comune, solitudine e isolamento vengono spesso usati come sinonimi, anche se hanno significati distinti da un punto di vista clinico — soprattutto se osserviamo il fenomeno alla luce dei meccanismi di difesa tipici del Trauma Relazionale Complesso. Isolamento: un rifugio sicuro per le personalità post-traumatiche Chi ha vissuto traumi relazionali precoci, in particolare nel contesto dei legami significativi (genitori disfunzionali, violenti, assenti, ambivalenti-disorganizzati, esperienze di abuso psicologico, fisico, sessuale, trascuratezza affettiva, iper-controllo..etc), sviluppa spesso una struttura di personalità “post-traumatica” caratterizzata dall’interiorizzazione di schemi di relazione “ sfiducia- abuso-deprivazione affettiva-abbandono”. Nella Schema Therapy, la triade composta dagli schemi precoci maladattivi di Sfiducia/Abuso, Deprivazione Emotiva e Abbandono/Instabilità è spesso indicativa di una struttura di personalità post-traumatica, in particolare nei pazienti con trauma relazionale complesso. Questi schemi derivano da esperienze infantili dolorose e terrorizzanti, in cui le figure di attaccamento sono risultate imprevedibili, morbose, bizzarre, pericolose o emotivamente indisponibili. Il mondo relazionale viene così codificato come minaccioso, e l’altro percepito come fonte di possibile tradimento, trascuratezza o perdita improvvisa. Il soggetto traumatizzato, quindi, sviluppa meccanismi difensivi rigidi (iper-controllo, evitamento, chiusura affettiva) che impediscono di accedere ad un’intimità autentica. E’ per questo che alcune personalità post-traumatiche cadono nella trappola di personalità con gravi immaturità narcisistiche. Entrambi condividono la paura per l’intimità, ma per motivi differenti, uno per difesa, l’altro perché non ne ha le capacità. Da li l’inganno delle reciproche proiezioni del “trauma-bonding” Questa triade riflette un nucleo profondo di insicurezza e dolore relazionale, che alimenta l’isolamento protettivo, compromettendo la capacità di fidarsi e costruire legami stabili. In questi casi, l’altro è percepito come fonte potenziale di pericolo e ri- traumatizzazione, più che di nutrimento. L’isolamento allora diventa una strategia difensiva: un modo per ridurre al minimo il rischio di essere nuovamente feriti, esposti a pericoli o invalidati. Questo tipo di solitudine non è scelto, ma imposto dalla psiche traumatizzata. Si manifesta come evitamento relazionale, ritiro sociale, iper-indipendenza ed è spesso sostenuto da meccanismi di difesa rigidi:
  • Ideazione paranoide, che attribuisce all’altro intenzioni malevole;
  • Introiezione dello schema di abuso, per cui il soggetto si aspetta costantemente di essere ferito, manipolato o abbandonato;
  • Iper-controllo emotivo/Iper-vigilanza, che mira a evitare qualsiasi esposizione della propria vulnerabilità.
  • Dissociazione ed Evitamento
Chi vive così, spesso non distingue più tra protezione e prigione: l’isolamento non è vissuto come una scelta, ma come una necessità di sopravvivenza. Solitudine: entrare in relazione con sé stessi Al contrario, la solitudine salvifica è la capacità di stare con sé stessi senza sentirsi soli. È il frutto di un lungo processo terapeutico e relazionale, in cui la persona ha ricostruito un senso di sicurezza interno. Questo processo passa per la rielaborazione del trauma, ma anche per la riparazione del Sé in relazione a un altro — spesso un terapeuta — che non tradisce, non invade, non svaluta. In psicoanalisi relazionale, si parla di “capacità di stare da soli in presenza dell’altro” (Winnicott). La solitudine sana non esclude l’altro, ma lo tiene simbolicamente presente: è uno spazio in cui io sono con me, ma anche con il senso interno di essere stato accolto, visto, contenuto. La Fragilità del Sé: Il ruolo dell’autostima Nel contesto del trauma relazionale complesso, l’identità si struttura su un terreno fragile, spesso fratturato. L’individuo ha interiorizzato relazioni significative disfunzionali (trascuranti, invalidanti, abusanti) che minano lo sviluppo di un Sé coerente e di una sana autostima. Per far fronte al dolore, alla vergogna e alla paura cronica, la psiche mette in atto strategie di compensazione dell’Io, che possono seguire due direzioni opposte: Ipocompensazione («il Sé sminuito»)
  • Il soggetto si percepisce come inadeguato, indegno o fragile, interiorizzando paura, vergogna o senso di colpa .
  • Tende a ritirarsi o compiacere, sacrificando desideri e bisogni per evitare il rifiuto: una strategia di auto-soppressione.
  • Il Sé si svuota: la persona vive in funzione degli altri, cercando di restare invisibile pur di non essere ferita.
Ipercompensazione («il Sé esibito»)
  • Si erge una struttura superficiale di potenza: iper-controllo, perfezionismo, svalutazione altrui .
  • L’immagine di sé diventa ciò che conviene alla sopravvivenza: forte, rigida, insensibile. Un equilibrio instabile tra intolleranza alla vulnerabilità e bisogno di sentirsi superiori.
  • È una maschera difensiva che distanzia il trauma, negando la propria parte bisognosa.
Il soggetto interiorizza il messaggio di non valere, di essere “troppo” o “non abbastanza”. Questo mina profondamente l’autenticità nelle relazioni. Da qui emergono comportamenti di compiacenza, adattamento camaleontico, o ritiro per non esporsi al rischio del giudizio. Paradossalmente, proprio il desiderio di essere amati si trasforma in una condanna all’invisibilità: non posso essere me stesso, perché se lo fossi verrei abbandonato o attaccato. Isolamento, solitudine e guarigione La guarigione non significa semplicemente forzarsi a socializzare “uscire di casa” o “fare amicizia”. Significa riscoprire la possibilità di fidarsi senza dover rinunciare alla propria soggettività. Significa trasformare il rifugio che isola in uno spazio che protegge, imparando a regolare la distanza emotiva in modo flessibile. A tal riguardo ho scritto un articolo tempo fa sull’importanza dei confini “La Teoria dei Tre Confini”. isolamento solitudine trauma complesso
La paura può trasformarsi in risorsa se la accogliamo con consapevolezza. Integrazione, consapevolezza e ampliamento della finestra di tolleranza Nel trauma relazionale complesso, il percorso di guarigione passa attraverso il riconoscimento e la trasformazione delle risposte difensive automatiche che l’individuo ha sviluppato per sopravvivere. Uscire da queste modalità richiede un lavoro profondo di integrazione della memoria traumatica e ricomposizione del Sé frammentato. Questo processo può essere facilitato attraverso:
  • Riconoscere quando siamo in ipo- o iper-compensazione, ovvero quando agiamo da stati del Sé difensivi che servono a proteggerci dalla riattivazione del dolore relazionale originario.
  • Dare ascolto al proprio Bambino Interiore: ciò è possibile in una terapia mirata, con un setting nel quale la persona possa sentirsi al sicuro e imparare i processi di ri-genitorializzazione.
  • Accogliere le emozioni disconnesse, che emergono sotto forma di disregolazione emotiva o sintomi corporei, imparando a contenerle senza reprimerle.
  • Integrare le memorie traumatiche, portandole alla coscienza e ricollocandole nel tempo e nello spazio: smettere di riviverle come se stessero accadendo ora, e iniziare a riconoscerle come “parte del passato”, pur doloroso, ma non più minaccioso.
  • Espandere la finestra di tolleranza emotiva: sviluppare la capacità di restare presenti nelle esperienze interne (emotive, somatiche, relazionali) senza dissociarsi né reagire in modo impulsivo, grazie al rafforzamento delle funzioni autoriflessive e regolative del Sé.
  • Costruire un Sé integrato e autentico, in cui le varie parti interne — protettive, vulnerabili, funzionali — possano coesistere in dialogo, al servizio di una vita più coerente, stabile e connessa agli altri.
Conclusione La differenza tra isolamento e solitudine, nel contesto del trauma relazionale complesso, è sottile ma fondamentale. L’isolamento è un sintomo, una corazza creata per sopravvivere al dolore. La capacità di saper stare da soli è una conquista, una forma di libertà relazionale in cui l’altro non è più un persecutore potenziale, ma una presenza facoltativa e nutriente. Imparare a stare soli — senza sentirsi soli — è forse uno degli atti più profondamente terapeutici che una mente ferita possa compiere. Erich Fromm “L’Arte di Amare” “La capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità di amare.” Non si può amare veramente se si cerca nell’altro una fuga dalla propria solitudine. Dottoressa Silvia Michelini