Isolamento o Solitudine?
Isolamento, solitudine e Fragilità del Sé nel Trauma Relazionale Complesso
“C’è una solitudine che cura, e un isolamento che depriva.”
Nel linguaggio comune, solitudine e isolamento vengono spesso usati come sinonimi,
anche se hanno significati distinti da un punto di vista clinico — soprattutto se osserviamo
il fenomeno alla luce dei meccanismi di difesa tipici del
Trauma Relazionale Complesso.
Isolamento: un rifugio sicuro per le personalità post-traumatiche
Chi ha vissuto
traumi relazionali precoci, in particolare nel contesto dei legami
significativi (genitori disfunzionali, violenti, assenti, ambivalenti-disorganizzati, esperienze
di abuso psicologico, fisico, sessuale, trascuratezza affettiva, iper-controllo..etc), sviluppa
spesso una struttura di personalità “post-traumatica” caratterizzata dall’interiorizzazione di
schemi di relazione “
sfiducia- abuso-deprivazione affettiva-abbandono”.
Nella Schema Therapy, la triade composta dagli schemi precoci maladattivi di
Sfiducia/Abuso, Deprivazione Emotiva e Abbandono/Instabilità è spesso indicativa di una
struttura di personalità post-traumatica, in particolare nei pazienti con trauma relazionale
complesso. Questi schemi derivano da esperienze infantili dolorose e terrorizzanti, in cui le
figure di attaccamento sono risultate imprevedibili, morbose, bizzarre, pericolose o
emotivamente indisponibili.
Il mondo relazionale viene così codificato come minaccioso, e
l’altro percepito come fonte
di possibile tradimento, trascuratezza o perdita improvvisa. Il soggetto traumatizzato,
quindi, sviluppa meccanismi difensivi rigidi (iper-controllo, evitamento, chiusura affettiva)
che impediscono di accedere ad un’intimità autentica. E’ per questo che alcune
personalità post-traumatiche cadono nella trappola di personalità con gravi immaturità
narcisistiche. Entrambi condividono la paura per l’intimità, ma per motivi differenti, uno per
difesa, l’altro perché non ne ha le capacità. Da li l’inganno delle reciproche proiezioni del
“trauma-bonding”
Questa triade riflette un nucleo profondo di insicurezza e dolore relazionale, che alimenta
l’isolamento protettivo, compromettendo la capacità di fidarsi e costruire legami stabili.
In questi casi, l’altro è percepito come fonte potenziale di pericolo e ri-
traumatizzazione, più che di nutrimento. L’isolamento allora diventa una strategia
difensiva: un modo per ridurre al minimo il rischio di essere nuovamente feriti, esposti
a pericoli o invalidati.

Questo tipo di solitudine non è scelto, ma
imposto dalla psiche traumatizzata. Si
manifesta come evitamento relazionale, ritiro sociale, iper-indipendenza ed è spesso
sostenuto da meccanismi di difesa rigidi:
- Ideazione paranoide, che attribuisce all’altro intenzioni malevole;
- Introiezione dello schema di abuso, per cui il soggetto si aspetta costantemente
di essere ferito, manipolato o abbandonato;
- Iper-controllo emotivo/Iper-vigilanza, che mira a evitare qualsiasi esposizione
della propria vulnerabilità.
- Dissociazione ed Evitamento
Chi vive così, spesso non distingue più tra protezione e prigione: l’isolamento non è
vissuto come una scelta, ma come una necessità di sopravvivenza.
Solitudine: entrare in relazione con sé stessi
Al contrario, la solitudine salvifica è la capacità di stare con sé stessi senza sentirsi
soli. È il frutto di un lungo processo terapeutico e relazionale, in cui la persona ha
ricostruito un senso di sicurezza interno. Questo processo passa per la rielaborazione del
trauma, ma anche per la riparazione del Sé in relazione a un altro — spesso un terapeuta
— che non tradisce, non invade, non svaluta.
In psicoanalisi relazionale, si parla di “capacità di stare da soli in presenza dell’altro”
(Winnicott). La solitudine sana non esclude l’altro, ma lo tiene simbolicamente presente: è
uno spazio in cui io sono con me, ma anche con il senso interno di essere stato
accolto, visto, contenuto.
La Fragilità del Sé: Il ruolo dell’autostima
Nel contesto del trauma relazionale complesso, l’identità si struttura su un terreno fragile,
spesso fratturato. L’individuo ha interiorizzato relazioni significative disfunzionali
(trascuranti, invalidanti, abusanti) che minano lo sviluppo di un Sé coerente e di una sana
autostima. Per far fronte al dolore, alla vergogna e alla paura cronica, la psiche mette in
atto strategie di compensazione dell’Io, che possono seguire due direzioni opposte:
Ipocompensazione («il Sé sminuito»)
- Il soggetto si percepisce come inadeguato, indegno o fragile, interiorizzando
paura, vergogna o senso di colpa .
- Tende a ritirarsi o compiacere, sacrificando desideri e bisogni per evitare il rifiuto:
una strategia di auto-soppressione.
- Il Sé si svuota: la persona vive in funzione degli altri, cercando di restare invisibile
pur di non essere ferita.
Ipercompensazione («il Sé esibito»)
- Si erge una struttura superficiale di potenza: iper-controllo, perfezionismo,
svalutazione altrui .
- L’immagine di sé diventa ciò che conviene alla sopravvivenza: forte, rigida,
insensibile. Un equilibrio instabile tra intolleranza alla vulnerabilità e bisogno di
sentirsi superiori.
- È una maschera difensiva che distanzia il trauma, negando la propria parte
bisognosa.
Il soggetto interiorizza il messaggio di non valere, di essere “troppo” o “non
abbastanza”. Questo mina profondamente l’autenticità nelle relazioni. Da qui emergono
comportamenti di compiacenza, adattamento camaleontico, o ritiro per non esporsi al
rischio del giudizio.
Paradossalmente, proprio il desiderio di essere amati si trasforma in una condanna
all’invisibilità: non posso essere me stesso, perché se lo fossi verrei abbandonato o
attaccato.
Isolamento, solitudine e guarigione
La guarigione non significa semplicemente forzarsi a socializzare “uscire di casa” o “fare
amicizia”. Significa riscoprire la possibilità di fidarsi senza dover rinunciare alla
propria soggettività. Significa trasformare il rifugio che isola in uno spazio che
protegge, imparando a regolare la distanza emotiva in modo flessibile. A tal riguardo ho
scritto un articolo tempo fa sull’importanza dei confini “La Teoria dei Tre Confini”.
La paura può trasformarsi in risorsa se la accogliamo con consapevolezza.
Integrazione, consapevolezza e ampliamento della finestra di tolleranza
Nel trauma relazionale complesso, il percorso di guarigione passa attraverso il
riconoscimento e la trasformazione delle risposte difensive automatiche che l’individuo ha
sviluppato per sopravvivere. Uscire da queste modalità richiede un lavoro profondo di
integrazione della memoria traumatica e ricomposizione del Sé frammentato. Questo
processo può essere facilitato attraverso:
- Riconoscere quando siamo in ipo- o iper-compensazione, ovvero quando
agiamo da stati del Sé difensivi che servono a proteggerci dalla riattivazione del
dolore relazionale originario.
- Dare ascolto al proprio Bambino Interiore: ciò è possibile in una terapia mirata,
con un setting nel quale la persona possa sentirsi al sicuro e imparare i processi di
ri-genitorializzazione.
- Accogliere le emozioni disconnesse, che emergono sotto forma di
disregolazione emotiva o sintomi corporei, imparando a contenerle senza
reprimerle.
- Integrare le memorie traumatiche, portandole alla coscienza e ricollocandole nel
tempo e nello spazio: smettere di riviverle come se stessero accadendo ora, e iniziare a riconoscerle come “parte del passato”, pur doloroso, ma non più minaccioso.
- Espandere la finestra di tolleranza emotiva: sviluppare la capacità di restare presenti nelle esperienze interne (emotive, somatiche, relazionali) senza dissociarsi né reagire in modo impulsivo, grazie al rafforzamento delle funzioni autoriflessive e regolative del Sé.
- Costruire un Sé integrato e autentico, in cui le varie parti interne — protettive, vulnerabili, funzionali — possano coesistere in dialogo, al servizio di una vita più coerente, stabile e connessa agli altri.
Conclusione
La differenza tra isolamento e solitudine, nel contesto del trauma relazionale complesso, è
sottile ma fondamentale.
L’isolamento è un sintomo, una corazza creata per
sopravvivere al dolore.
La capacità di saper stare da soli è una conquista, una forma di
libertà relazionale in cui l’altro non è più un persecutore potenziale, ma una presenza
facoltativa e nutriente. Imparare a stare soli — senza sentirsi soli — è forse uno degli atti più profondamente
terapeutici che una mente ferita possa compiere.
Erich Fromm “L’Arte di Amare”
“La capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità di amare.”
Non si può amare veramente se si cerca nell’altro una fuga dalla propria solitudine.
Dottoressa Silvia Michelini