In questi giorni ricevo molti messaggi preoccupati da parte di genitori con figli prossimi all’inserimento scolastico (sia materna che elementare) e io stessa da madre e psicologo mi appresto ad affrontare questa esperienza. La sensazione comune è quella di sentirsi divisi: da un lato ogni genitore vorrebbe proteggere il figlio da eventuali contagi e non esserne motivo per gli altri, dall’altra desidera che il figlio possa socializzare, imparare a scuola a confrontarsi e a relazionarsi con i pari. Le notizie sono sempre discordanti e vi è una pericolosa dicotomizzazione delle verità (vero/fake) che sta portando all’odio e alla schizofrenia sociale tra pari.
Che relazione è quella che nasce dal dubbio del contagio, dalla paura o dall’impossibilità di toccarsi, sorridersi? Cosa accade se io non vedo le tue espressioni facciali, ma solo i tuoi occhi? Massimo Ammaniti, noto psicoanalista dell’età evolutiva, si definisce “sconcertato” in un recente articolo sul Corriere della era (20.08.2020) : “… sono sconcertato dall’assenza di proposte in merito a un aspetto fondamentale del tornare in classe in sicurezza, quello legato alle conseguenze psicologiche per i bambini…. Si parla tanto di distanziamento, mascherine obbligatorie, cosa fare se le aule sono troppo piccole: tutti provvedimenti giustificabili dalla necessità di fermare i contagi da Covid, naturalmente. Ma ci sono anche altri problemi dei quali prendere coscienza. E mi fa un certo effetto che nessuno ci pensi o ne parli».
Ammaniti propone di utilizzare mascherine trasparenti e di rinforzare l’offerta didattica con compiti e giochi che promuovano lo sviluppo delle abilità empatiche e sociali. I decreti e le misure che il governo sta cercando di valutare ed applicare – tuttavia – tengono conto solo della sicurezza igienico-sanitaria e disconoscono assolutamente le possibili implicazioni di natura psicologica e sociale. I bambini che frequentano la scuola materna, sono in una fase di crescita cruciale e critica per lo sviluppo di abilità quali empatia e teoria della mente.
Cos è la Teoria della mente? La Teoria della Mente (ToM) è definita come la capacità di attribuire stati mentali agli altri e di riconoscere che le menti altrui hanno credenze, desideri e intenzioni differenti da quelle delle proprie. La ToM è un’abilità che comprende varie funzioni , inizia il suo in stadi precoci e avanza verso elaborazioni più complesse, con la mediazione di cognizioni di ordine superiore e che si sviluppa con la socializzazione. https://www.researchgate.net/publication/307741970_Empatia_e_Teoria_della_Mente_un_unico_meccanismo_cognitivo L’empatia può essere definita come “la capacità di comprendere gli stati mentali altrui facendo riferimento alla propria esperienza” (Docety e Moriguchy, 2007).
Il concetto di empatia riguarda sia aspetti affettivi, emotivi che psicologici (cognitivi) e questi ultimi sono inevitabilmente associati allo sviluppo di una teoria della mente; prima ancora di questa fase, il bambino deve essere messo in condizione di sviluppare la capacità di distinguere sé dall’altro e maturare la consapevolezza che gli altri sono diversi da sé, hanno una loro stabilità e continuità nel tempo e per questo vivono emozioni e sentimenti diversi dai propri, che quindi non sono OGGETTI ma SOGGETTI. In assenza di una teoria della mente capire il comportamento, intuirne le idee, le intenzioni, diventa impossibile, si verifica quindi una sorta di “rottura comunicativa” simile a quella riscontrata in patologie quali autismo, isolamento sociale e schizofrenia. Ammaniti prosegue: «Nessuno riflette in merito al fatto che quest’anno l’organizzazione della scuola sarà rigida, un po’ come quella del passato, e porrà grossi limiti» ………«L’unico contatto tra alunni e insegnante sarebbero gli occhi. Invece per i piccoli di quell’età la comunicazione implicita, ovvero tramite il volto e il sorriso per esempio, è fondamentale. Solo in età più adulta si sviluppa la capacità di decodificare l’espressione degli occhi»…..”Diventerà difficile capire le intenzioni e gli stati d’animo degli altri, dei compagni come delle maestre. Anche vedere i movimenti della bocca è fondamentale per la comprensione». L’Uomo è un essere innatamente sociale e teso a costruire legami e relazioni, per questo nasciamo con la tendenza innata a imitare le espressioni facciali altrui.
Una recente ricerca dell’Università la Sapienza di Roma dimostra l’importanza del riconoscimento della mimica facciale dell’altro quale elemento chiave per lo sviluppo, ma anche il rinforzo di abilità empatiche carenti in soggetti autistici. La “facial mimicry”, ossia l’imitazione automatica delle emozioni facciali di un altro individuo, è un meccanismo alla base del riconoscimento delle emozioni e del contagio emotivo, forme basilari di empatia che precedono quelle più complesse. Tale abilità è modulata da fattori sociali di alto livello quali appartenenza al gruppo, familiarità, cooperazione o competizione. Essa inoltre è associata a cambiamenti fisiologici e neurali prodotti dall’effettiva esperienza emozionale dell’osservatore e modulata dai tratti empatici dello stesso. Questa risposta risulta ridotta e/o rallentata nell’autismo e nella schizofrenia, condizioni caratterizzate tra l’altro da difficoltà empatiche e di riconoscimento delle emozioni altrui. https://www.uniroma1.it/it/notizia/allenare-lempatia-dallimitazione-alla-condivisione-delle-emozioni
(Salvatore Maria Aglioti della Sapienza, in collaborazione con Fondazione Santa Lucia IRCCS: hanno testato la possibilità di aumentare l’imitazione automatica delle emozioni facciali attraverso l’enfacement, una semplice ma efficace illusione corporea che viene indotta dalla stimolazione tattile del volto del partecipante mentre osserva la medesima stimolazione effettuata sul volto di un’altra persona. Questo procedimento riduce la distinzione tra sé e l’altro; infatti diversi studi hanno dimostrato che, in seguito a tale stimolazione visuo-tattile, i partecipanti tendono a percepire l’altro più simile a sé su diversi livelli, dall’identità visiva ai comportamenti sociali).
Conclusione Sulla base di queste premesse teoriche è facile ipotizzare che nei bambini al di sotto dei sei anni, l’utilizzo della mascherina possa compromettere lo sviluppo delle abilità cognitive necessarie a creare una teoria della mente e quindi a sviluppare e/o mantenere un adeguato livello di empatia (sebbene tali abilità risentono anche di fattori genetici e della relazione madre/figlio e/o dall’interazione affettiva familiare). Nei bambini al di sopra dei sei anni (scuole elementari) l’utilizzo della mascherina può interferire sensibilmente l’avvio di un percorso di apprendimento alla socializzazione coi pari e nella relazione con le maestri/e, che oltre ad essere già stressati/e e tesi/e per la questione COVID riguardo gli aspetti igienico-sanitari, si trovano anche a dover gestire le innegabili difficoltà in termini di disciplina e socializzazione.
La scuola rappresenta una RISORSA vitale per i bambini che a casa o per motivi familiari e/o affettivi non possono socializzare o beneficiare di un MODELING relazionale sano e un inizio così traumatico – se da un lato può costituire motivo di apprendimento ai fini di un senso civico maggiore e di condivisione delle regole – dall’altra cela molti aspetti dubbi soprattutto sul versante “paura dell’altro in quanto possibile untore”.
Stiamo di fatto insegnando ai bambini da marzo che non ci si può più toccare o salutare, che occorre giocare distanziati, che non possono soffiare sulle candeline. Queste “fobie sociali condivise” possono favorire lo sviluppo di tratti ossessivo-fobici e ansiosi nel bambino oltre che al rinforzo degli aspetti paranoidei, già connessi a queste delicate fasi di sviluppo psicoaffettivo. È fondamentale quindi, che il governo non si preoccupi solo del contenimento del virus da un punto di vista igienico-sanitario-amministrativo (primario, sacrosanto e lecito) e tenga conto, che un essere umano non deve solo sopravvivere fisicamente, ma anche psicologicamente e che i bambini di oggi, saranno gli adulti di domani. Empatia e teoria della mente possono costituire fattori di resilienza importanti nel caso di problemi psicologici futuri e sono la garanzia di immettere nella società individui UMANI non solo in senso biologico, ma anche e soprattutto etico, affettivo e morale al fine di contenere fenomeni di psicosi sociale e anti-socialità.
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