Dott.ssa Silvia Michelini     psicologiacoppia@gmail.com
Metodo Lei & Lui

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Tra senso di appartenenza e necessità di sopravvivenza: la dura vita di un figlio che sceglie di recidere il legame con la famiglia d’origine. Comprendere i motivi che possono condurre un individuo adulto a chiudere definitivamente i rapporti con un familiare può essere molto complesso per chi non ha mai vissuto in una famiglia gravemente disfunzionale; in questi contesti ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza psichica (a volte anche fisica) e chi dovrebbe proteggerti è spesso proprio quella persona da cui devi imparare a difenderti. Cosa accade quando non puoi fidarti neanche di tuo padre e tua madre? Nella nostra cultura, di stampo cattolico è quasi impensabile credere che un familiare possa essere qualcuno da cui difendersi e col quale non è possibile un dialogo, un confronto o una riparazione. Nel 2023 diventa veramente difficile capire chi abbandona la famiglia perché è una persona matura che ha sofferto troppo e ad oggi non è più disposta a rischiare di impegnarsi in relazioni disfunzionali seppur familiari o chi lo fa per puro egoismo narcisistico in assenza di reali motivazioni. Dall’esterno infatti, non è semplice comprenderlo, narcisisti o borderline lamentano atroci ingiustizie subite da parte della famiglia d’origine, ma non sempre si tratta di verità, quanto più di manipolazioni vittimistiche o di una convinzione paranoide esasperata che questi soggetti hanno dei genitori e altre volte i traumi ci sono effettivamente, ma questi soggetti sono più identificati con l’aggressore che con la vittima, perché la “vittima manipolatrice” è un aggressore “covert” ossia passivo-aggressivo. Qui si parla di altro, di chi compie questo passo, subendo spesso il giudizio negativo di amici e conoscenti, con un motivo valido, ossia aver vissuto in una famiglia dove ha subito palesi ABUSI (psicologici, fisici, economici, affettivi, sessuali…) dei quali la famiglia non si assume le responsabilità anzi li nega proiettando tutte le colpe sul figlio, che diventa in tal senso “il capro espiatorio familiare”. Il capro espiatorio è anche quello, che spesso spazza la catena di abusi intergenerazionali e che cerca di lavorare su sé stesso per distaccarsi da certe modalità disfunzionali e guadagnare con gli anni e sudate terapie, una maturità affettiva, una serenità e soprattutto l’indipendenza economica ed affettiva. Le frasi tipiche che questi figli si sentono dire sono: “solo la famiglia è per sempre”, “è sempre la madre” … “il sangue non è acqua”, “come puoi abbandonare il sangue del tuo sangue” … etc., “ora sono anziani, cerca di capirli”, “loro ti hanno dato la vita e adesso tu devi ripagarli”, “cerca di andare oltre, un domani te ne pentirai”… ci si aspetta cioè che le relazioni genitore-figlio siano caratterizzate da una dose inesauribile di pazienza e dedizione estrema a senso unico, perché come ben noto, le relazioni disfunzionali non sono reciproche e i genitori gravemente disfunzionali si comportano più come bambini ingrati ingestibili e incontrollabili, che come anziani collaborativi che si lasciano accudire; non comprendono che oggi i figli hanno una loro identità, personalità, idee, gusti, abitudini di vita oltre che molte responsabilità con cui districarsi, tra cui la loro famiglia, la crisi economica e sociale in atto e la gestione degli esiti traumatici della loro infanzia. Questo articolo esplorerà le ragioni dell’allontanamento genitore-figlio dal punto di vista del figlio adulto. Lo scopo è quello di trattare un tema spinoso e controverso come questo, ma anche di aiutare coloro che fanno questa dolorosa scelta a sentirsi meno stigmatizzati dalla società. I confini che un adulto può mettere nelle relazioni con la famiglia d’origine (un solo genitore, tutti e due o con tutta la famiglia) possono essere molto rigidi e definitivi come nel “no contact” oppure meno netti o intermittenti, come nel caso del low contact e della riduzione del contatto emotivo, che si ottiene attuando strategie di comunicazione come quella del sasso grigio. Le famiglie disfunzionali si auto-disciplinano attraverso sistemi di regole implicite molto simili ai sistemi mafiosi, sono molto rigide e nutrono palesi aspettative riguardo il comportamento atteso da ognuno dei membri. Chi trasgredisce viene isolato, punito, denigrato, allontanato, circuito, minacciato, diseredato o perseguitato, perché la ribellione di anche uno solo di questi elementi può destabilizzare l’intero sistema; ciò implica per chi decide di mettere dei confini con questo tipo di famiglie o genitori, accettare l’eventualità di restare completamente solo, perché i membri sottoposti obbediscono al capo clan (o ai capi clan) e colludono con questi a vari livelli. Si tratta di sistemi chiusi, che percepiscono il mondo esterno come minaccia e che richiedono ai membri totale adesione e soprattutto “silenzio stampa” rispetto alle dinamiche che si vivono in casa (“i panni sporchi si lavano in casa”). I membri che colludono con la logica del clan (in modo più o meno cosciente) inoltre – esercitano costanti pressioni o cercano di manipolare il dissenziente, affinché si riconcili col genitore abbandonato. Le motivazioni che spingono un adulto ad allontanarsi da un parente sono molte tra queste troviamo l’indifferenza, l’abbandono, l’assenza di sostegno emotivo o economico, il maltrattamento psicologico o fisico, il tradimento (soprattutto nei casi di abusi sessuali i figli non sono creduti dalla madre o dal padre e spinti a “restare nel silenzio per il bene della famiglia”). Si tratta di stili genitoriali oppressivi, scarsamente protettivi e profondamente abusanti come quelli di stampo narcisistico/borderline/anti-sociale. I figli sarebbero anche disposti in età adulta a capire i propri genitori, accettarne i limiti per arrivare ad una crescita della relazione, perché di base questi genitori, con tutta probabilità sono anche loro reduci da anni di abusi, il problema è che si sono identificati con l’aggressore e per questo “non vedono la realtà del figlio” e lo percepiscono solo come ingiustamente distaccato. Per questo motivo dove non c’è UN RICONOSCIMENTO da parte del genitore della sua parte collusiva e il desiderio spontaneo e radicale di cambiare insieme al figlio, ogni tentativo di mediazione finirà nel calderone dei fallimenti inanellati negli anni e la dinamica malsana resterà viva e vegeta cosi come l’avete vissuta in adolescenza. Alcuni genitori chiedono scusa, ma non si tratta di scuse sentite; in quel momento capiscono che le scuse sono necessarie a risolvere QUEL conflitto, ma poi l’assenza di insight sommata alle rigidità caratteriali determinate dall’età che avanza, determineranno una reiterazione delle condotte abusanti o disfunzionali in genere. I genitori disfunzionali infantili ed egocentrici infatti – non accettano l’età che passa, il fatto di dover “cedere il loro ruolo di autorità e potere” ai figli accettando che oggi “sono vulnerabili”, e hanno bisogno di qualcun’altro o al contrario pretenderanno di regredire allo stato infantile ed essere accuditi come bambini pretenziosi e insaziabili padroneggiando la vita dei figli coi loro capricci continui. Il punto quindi, non sarebbero neanche i traumi su cui l’individuo potrebbe lavorare proprio insieme al genitore, ma il disconoscimento da parte del genitore di una sua qualsivoglia colpa e la totale assenza di riparazione, il figlio è quindi un pazzo, si droga, è un ingrato o “è stato manipolato da qualcuno” in primis dal terapeuta magari “che gliel’ha messo contro ficcandogli in testa tutte queste stupidaggini sui traumi” oppure “è cambiato” da quando frequenta quel partner, quegli amici etc. La decisione di chiudere con la propria famiglia è una decisione dolorosa, che spesso l’adulto di oggi prende, per proteggere quel bambino di ieri e che scaturisce spesso da un evento specifico, “la goccia che fa traboccare il vaso “come ad esempio vedere che determinati atteggiamenti che i tuoi genitori avevano con te li hanno oggi coi nipoti. Una certa dose di conflitto è normale in tutti i sistemi familiari, la famiglia del mulino bianco non esiste e relazioni in alcuni periodi possono essere molto tese o costituire fonte di dolore. Nelle famiglie disfunzionali invece – arrivi a renderti conto che l’unico modo per stare bene e salvaguardare la tua salute mentale, fisica o economica è allontanarti dai tuoi familiari. E’ importante capire questa differenza perché nessun professionista del settore si sognerebbe mai di promuovere il no contact coi genitori come forma di risoluzione di un conflitto familiare, perché se una persona potesse contare sulla “riparazione dei legami traumatici” anche la terapia ne gioverebbe, mentre si arriva a prendere in considerazione un no contact quando l’evoluzione, la sopravvivenza psicologica o fisica della persona con cui lavoriamo è a rischio oppure quando un nucleo familiare nuovo rischia di essere contaminato da questi vecchi schemi e quindi non avere speranza evolutiva verso una traiettoria diversa. Dottoressa Silvia Michelini