Quali sono gli effetti del trauma infantile sullo stile relazionale in età adulta?
Molte delle persone che si trovano a fare i conti con il trauma relazionale
complesso o cronico (Complex Post- Traumatica Stress Disorder C-PTSD)
adottano difese di evitamento nella vita adulta.
L’evitamento covert è differente dall’evitamento tout court, perché non è
nettamente visibile… è qualcosa di sottile ed impercettibile che spesso
danneggia solo chi lo vive, mentre all’esterno la persona si mostra funzionale
ed equilibrata.
Il
“covertismo post-traumatico” – differente dal carattere introverso – è una
strategia difensiva finalizzata ad evitare di risperimentare nel presente, tutte
quelle emozioni associate a ricordi di dinamiche relazionali disfunzionali e
che hanno generato profonda sofferenza, paura, rabbia e vergogna… ecco
allora che ho una coppia, un partner ad esempio, ma non mi espongo, non
comunico i miei sentimenti… quasi come se vivessi distaccato da me stesso…
spettatore della mia stessa vita.. qualcuno che “assaggia” un pezzetto di
torta, ma non si concede di finire la fetta e goderne a pieno.
L’evitamento ha spesso a che vedere con
la paura di perdere il controllo nelle
relazioni e con la paura dell’intimità,
di perdersi nell’esperienza con “l’altro da
Sé” e per ALTRO si intende una persona, ma anche un’esperienza o
l’esperienza che viviamo con una data persona o in un determinato contesto.

L’evitamento è uno scudo, un’armatura che protegge il bambino interiore
vulnerabile e fragile impedendogli tuttavia anche di “muoversi in libertà”.
C’è da chiedersi a quale prezzo barattiamo la nostra vitalità con la sicurezza.
Se è vero che l’evitamento mi protegge dal rifiuto e/o dall’abbandono, è
anche vero che l’assenza di condivisione emotiva e la soppressione della
dimensione del “desiderio” conduce via via ad uno sgretolamento della vitalità
interiore.
La connessione emotiva e la relazione sociale sono due aspetti fondamentali
per la sopravvivenza psichica (e addirittura fisica) dell’essere umano;
evitando relazioni o situazioni attivanti a livello emotivo sarete certamente al
sicuro, barattando però una parte della vostra vita e la gioia che ne può
conseguire nel viverla a pieno.
Il vostro bambino è al sicuro, ma resterà sempre un bambino traumatizzato
ed insicuro, perché metaforicamente “non esce, non si diverte, non vive e
quindi
non sperimenta la sua autonomia.”
Paradossalmente, cercando di evitare di soffrire cosi come ci hanno fatto
soffrire in passato, stiamo in realtà dando al trauma moltissimo spazio nel
presente.
Perché devo lasciare spazio o permettere a queste dinamiche di influenzarmi
ancora oggi? Nel tentativo di difendermi dal trauma, alla fine sto reiterandone
gli effetti attraverso la difesa stessa.
C’è una chiara differenza tra la personalità evitante e l’evitamento covert
come difesa; in primis la personalità evitante è visibile agli occhi di tutti ed è
caratterizzata da fortissima ansia sociale.
L’evitamento covert invece, è molto più sottile e lo possiamo riscontrare in
vari stili di personalità e l’ansia sociale non è così evidente.
Dall’esterno non si nota nulla, stai conversando ad una festa e sorridi, ma si
tratta solo di una maschera sociale, non hai i canali aperti non “SENTI” l’altro,
semplicemente lo vedi
attraverso un vetro… il vetro della capsula di
protezione in cui ti sei messo/a.
Un chiaro esempio di questa difesa è rappresentato dalla scarsa motivazione
e il disinteresse cronico verso il mondo esterno o le proprie stesse attività; ti
senti sempre troppo stanco/a per fare qualsiasi cosa, sei troppo occupato/a,
eviti situazioni ed esperienze che non implicano sforzi eccessivi e che
notoriamente sono attività associate al piacere. Non trovi il tempo per fare
cose mediamente normali, che farebbe qualsiasi persona in quel ruolo o
posizione.
La verità è che VORRESTI PRENDERE PARTE, ma qualcosa
inconsciamente TI SABOTA…ti fa desistere… è una condizione differente
anche dalla depressione reattiva o di media-gravità.
Alla lunga questa difesa può portare la persona a restare sola e l’unico modo
per uscirne è sicuramente iniziare ad essere onesti con sé stessi: come mi
sento in questa situazione, cosa sto cercando di evitare, cosa mi spaventa?
Cosa posso realmente ottenere da me stesso in questa situazione?
Le situazioni che evitiamo sono quelle che ci ricordano (come similitudine di
eventi o come emozioni che proviamo), le esperienze relazionali traumatiche
e/o disfunzionali legate all’infanzia.
Se si analizzassero le risposte del cervello a questi eventi/emozioni,
osservando quali aree si illuminano/sono attive quando ci pensiamo,
saremmo sorpresi nel notare una sorta di
marasma caotico di sinapsi
attive ed è questa la disregolazione che sentiamo dentro e dalla quale
vogliamo fuggire, ma il caos va ordinato non evitato.
Per fare un esempio: se oggi – pur di non fronteggiarmi col trauma affettivo
verso un genitore troppo severo sull’ordine – decido inconsciamente di
ribellarmi e quindi saboto ogni tentativo mio o di qualcun altro di mettere in
ordine… cosa ottengo? Le reazioni aggressive delle persone con cui vivo e
soprattutto, se accumulo degli oggetti, ad esempio dietro la porta, prima o poi
quando la aprirò, mi cadranno tutti in testa.
La disregolazione la avvertiamo quando ci sentiamo
“avulsi dall’esperienza e
dal contesto”, annebbiati (brain fog), disattenti, disorientati, sensibili al tatto,
alla luce e al suono, emotivamente iperattivi, o talvolta il contrario – controllati
ed emotivamente piatti.
La dissociazione mentale, l’evitamento e il senso di derealizzazione, alla
lunga impattano anche sul sistema immunitario e la salute fisica oltre che
quella relazionale, perché inconsciamente mandiamo al nostro cervello un
messaggio costante di “pericolo e il cervello in risposta, attiva tutta una serie
di neurotrasmettitori connessi alla risposta verso lo stress e il pericolo. Anche
dove obiettivamente non ce n’è bisogno…
È invece importante OGGI, ri-genitorializzare noi stessi, non sentirci più come
bambini che non sono stati protetti, pure vittime o esseri fragili che non ce la
fanno… perché l’auto-commiserazione ahimè può diventare una
pericolosissima zona di comfort; non significa snaturarsi o ancora peggio
“fare i duri”, significa permettere a quel bambino impaurito (nel pieno rispetto
della sua soggettività, carattere, temperamento ed energia) di crescere e fare
dei suoi passi… di alleggerirlo di quella corazza.
Non si tratta assolutamente di evitare la vulnerabilità come nel narcisismo
mitomanico o nel “positivismo tossico stile americano”, ma di non farne
neanche un baluardo di inabilità psichica e relazionale … una premessa che
tradisce le attese altrui, ma che di base saboterà solo te stesso.
Non si tratta neanche di BUTTARSI IN QUALSIASI ESPERIENZA SENZA
ALCUN CONFINE…, ma di fare tesoro di ciò che si è imparato sulla propria
pelle per mettere confini sani tra sé e il mondo esterno, né troppo rigidi, né
totalmente assenti.

Il rischio è restare “frizzati” (da freezing/immobilità) come mimi che si fingono
statue in una scena, mentre tutti gli altri attori si spostano in un’altra sala.
Gli altri infatti, andranno avanti con o senza te, ma TU… sei così sicuro/a di
non avere bisogno di nessuno e che come dice Brunori Sas, la vita “pensata”
sia più sicura di quella vissuta?
Sei sicuro che la persona che stai ingannando non sia in primis quella che hai ora davanti allo specchio?
Dottoressa Silvia Michelini